La birra artigianale. Una bevanda “naturalmente viva”

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1988

Sapete dove è nata la prima birra monastica (artigianale) in Italia?

Alle porte di Milano, in un angolo discreto di Pianura Padana,  si nasconde fra le nebbie e i campi dipinti dall’action painter William Congdon (che lì visse per molti anni), un monastero di quelli “Ora et Labora”, dove vive la comunità S.S. Pietro e Paolo: monaci benedettini di clausura. Uno di loro mi racconta:

Nel 2005 due di noi hanno trascorso un periodo di formazione in Belgio, presso alcune abazie che sono leader mondiali in questo particolare settore. Là hanno imparato le migliori tecniche di produzione da confratelli molto esperti – spiegano. Il nostro lavoro si inserisce nel solco di un’antica tradizione che fin dal Medioevo ha visto i monaci diventare importanti produttori di questa bevanda, soprattutto nel nord Europa. le tre ali della nebbia, W. Congdon

I 20 religiosi che compongono la comunità a Buccinasco hanno deciso di dedicarsi a questa attività dal 2008 quando si sono resi conto che l’agricoltura non era più sufficiente al loro sostentamento, nasce così il primo microbirrificio monastico italiano.  Oggi la concorrenza è alta e molte sono le produzioni nate successivamente, quindi pare decisamente importante il premio vinto nel 2014 Brussels Beer Challenge dove la Blond ha ottenuto la medaglia d’argento nella categoria Birre di Abazia, con più di 300 partecipanti. Ma facciamo un passo indietro.

La birra è una bevanda antica come l’uomo.

Sono state rinvenute testimonianze scritte già nella civiltà Sumera attorno al 3000 avanti Cristo. Quando parliamo di birra in riferimento alle popolazioni dell’antichità non dobbiamo però pensare alla bevanda così come oggi la conosciamo. Essa era piuttosto qualcosa di simile ad un decotto denso costituito da cereali impastati con acqua e poi lasciati fermentare all’aria in modo più o meno naturale.

Plinio il Vecchio (+ 79 d.C.) nel suo famoso trattato Naturalis Historia ne scrive dicendo che in Egitto veniva chiamata Zythum, in Spagna Celia o Cerea, in Gallia Cervesia. La sua schiuma veniva usata dalle donne per curare il viso (cfr. XXII, 164), mentre i Galli la usavano come lievito per fermentare il pane che, per questa ragione risultava più leggero (cfr. XVIII, 68). Esistono poi testi medievali che ne parlano all’interno di trattati medico-dietetici, tra i quali ricordiamo le opere della Scuola Medico Salernitana o di santa Hildegarda di Bingen. Per le sue proprietà nutritive la birra era chiamata anche : “pane liquido”.

Secondo alcuni studiosi sembra che la birra amaricata e aromatizzata col luppolo (Humulus Lupulus, è un rampicante perenne della famiglia delle Cannabinaceae, di cui si usano le inflorescenze femminili) come la conosciamo oggi, sia un’ innovazione di origine monastica. Il suo utilizzo per la produzione della birra compare per la prima volta in alcuni manoscritti benedettini del IX secolo.

La birra è davvero un prodotto assolutamente naturale. Una bevanda ottenuta dalla fermentazione alcolica con lieviti (funghi unicellulari) di un mosto preparato principalmente con malto d’orzo. Poche e semplici le materie: acqua (circa il 90 %), malto d’orzo (o in aggiunta altri cereali tipo frumento, mais, riso), luppolo e lievito. Oggi però, grazie anche al lavoro creativo dei micro-birrifici artigianali, si sta affermando il fenomeno delle birre aromatizzate con spezie o frutta, recuperando e ripensando in chiave italiana quella che è la grande tradizione birraria Belga. monaci birra2Le birre “artigianali” normalmente utilizzano un processo di “rifermentazione in bottiglia” (o fusto), cioè aggiungono zucchero e lievito in fase di condizionamento in modo tale da innescare una fermentazione ulteriore (dopo quella primaria che trasforma, grazie al lavoro dei lieviti, il mosto zuccherino in alcol e CO2) che conferisce originalità e “vitalità” al prodotto conferendogli un gusto che si affina ed evolve nel tempo anche per parecchi mesi. La grandezza di una birra, non di rado, è dovuta proprio al tipo di ceppo di lievito che si usa, perché il suo metabolismo sprigiona prodotti cosiddetti “secondari” della fermentazione che rilasciano esteri (cioè note floreali) o alcoli superiori (cioè note fruttate: banana, pesca, frutti tropicali), i quali sono importantissimi nel delineare il profilo aromatico della birra.

Oggi si usano prevalentemente due grandi famiglie di lieviti. Il ceppo Saccharomyces Cerevisiae, che è la forma più diffusa e che predilige alte temperature per la fermentazione, ovvero di almeno a 16-18 °C. Tutte le birre, fino a circa 200 anni fa, si producevano con questo lievito. Il ceppo Saccharomyces Carlsbergensis che predilige temperature di fermentazione comprese tra 5 e 10 °C. Questo significa però che sono necessari impianti di raffreddamento durante tutto l’anno con evidenti aumenti di spesa sulla produzione. Bisogna dire però che le basse temperature proteggono meglio la birra dallo sviluppo di microorganismi indesiderati. Terminata la fermentazione primaria il levito può essere recuperato dai serbatoi di fermentazione e riutilizzato per “innescare” una nuova produzione di birra. monaci birra1

Per questo la birra è una bevanda naturalmente viva e se vi capitasse di incontrare questi monaci, che non hanno mail, non hanno un profilo facebook e lavorano e pregano tutto il giorno, vi accorgerete che anche le loro facce, pur incarnando più di 1500 anni di regola monastica, sono vivissime.

Verrebbe da chiedergli quale lievito usino per loro stessi.

 

 


 

Per conoscere tutte le caratteristiche della Birra Cascinazza che oggi produce la Blond, la Amber e la Bruin  e per studiarne gli abbinamenti a tavola potete andare nel sito del Birrificio dove troverete tutte le specifiche, le ricette e come e dove acqustarla. Prosit!

 

Immagini: William Congdon, Le tre ali della nebbia.  Monaci al lavoro nel laboratorio della Birra Cascinazza

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