Da “padrone” a “care giver”

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VALERIA ROSSI  CI RACCONTA COME NEGLI ANNI È CAMBIATO IL RAPPORTO TRA L’UOMO E IL SUO CANE, NELLA PROSPETTIVA  AFFETTIVA.

 

C’era una volta il cane (e c’è ancora, uguale identico a prima).

C’era una volta l’uomo (e c’è ancora, forse un po’ diverso da prima ma non troppo).

C’era una volta il cinofilo… e probabilmente c’è ancora (a volte c’è da dubitarne), ma di sicuro è lontanissimo da quello di un tempo.
Il tempo di cui stiamo parlando non è la preistoria, non è l’anno zero e neppure l’Ottocento: la rivoluzione cinofila ha poco più di vent’anni e l’esplosione di quella che io chiamo – un po’ scherzosamente e un po’ no – “cinofilia new age” non ne ha più di dieci.
Avendo una carrettata di anni, posso dire di aver visto e vissuto tutti i passaggi: non ho ben chiaro, però, se si sia trattato di un’evoluzione o di un’involuzione. uomo con cane8b28ac082_bn-cani-nokia808pv
Da un certo punto di vista è indubbio che si siano fatti grandi passi avanti: se il cane prima era poco più di un oggetto, al quale al massimo ci si “affezionava”, oggi è considerato un membro della famiglia a tutti gli effetti. E questo va benissimo.
Se un tempo il concetto di “educazione” veniva spesso (anche se non sempre) espresso con frasi come “Appena il cucciolo arriva a casa dagli subito un bel calcio in culo, così capisce chi comanda!”, oggi si parla prevalentemente di relazione e comunicazione.
Se l’addestramento era spesso (non sempre) improntato su quelli che oggi si chiamano rinforzo negativo e punizione positiva (mentre allora si chiamavano “impiccalo finché non obbedisce” e “se sbaglia, dagli un calcione”), oggi si lavora prevalentemente su motivazione, ingaggio, gratificazione e così via.

Al cane è stato riconosciuto (anche dalla legge) lo status di essere senziente e sensibile. Da molti, anche se ancora non da tutti, il cane viene considerato anche un essere cognitivo, capace di ragionare e razionalizzare, di superare gli istinti e di praticare l’autocontrollo.
Tutto bello, tutto buono, tutto giusto?
Sulla carta, indubbiamente sì.
Nella pratica, un po’ meno.
Il membro non umano della famiglia, che andrebbe rispettato soprattutto per la sua alterità, cercando di capire le sue reali esigenze e bisogni, viene equiparato tout court a un bambino di due o tre anni.
La frase che sento ripetere più spesso dalle signore cane-munite :

 Lo amo tantissimo, lo tratto come un figlio!

Ma il cane non è tuo figlio, signora cara (parlo al femminile perché questo atteggiamento è decisamente più diffuso tra le donne, anche se non mancano i maschietti con identici problemi di relazione): il cane è un cane.
Purtroppo per capire cosa sia veramente un cane occorrono anni di studio e di esperienza pratica: non è possibile spiegarlo in due parole e non provo neppure a farlo qui (magari in qualche articolo futuro!).
Sta di fatto che il cane non è un bambino e non può essere trattato come se lo fosse, perché la sua psiche ne esce devastata.
Qualche esempio spicciolo: un cane di quattro anni, bambinizzato dalla sua proprietaria (dormiva nel letto, viveva sempre in braccio, sempre stracoccolato, sempre iperalimentato perché “poverino è magro” – anche se in realtà era un salsiccia con le zampe – e così via), di punto in bianco non ha più permesso al marito della sua umana di accedere al letto matrimoniale.
Fortunatamente si trattava di un cagnolino (obeso, ma piccolo) e non aveva avuto modo di fare grossi danni, ma l’aveva morso più volte: e oltre a fare sceneggiate da tigre del Bengala quando il pover’uomo tentava di andare a dormire, ringhiava minacciosamente ogni volta che lui provava ad abbracciare la moglie o si azzardava a darle un bacetto.
Si potrebbe pensare che la signora capisse di aver sbagliato qualcosina e che quindi fosse stata lei a rivolgersi all’educatrice: invece no.
A venire da me fu il marito, tirandosi dietro una moglie molto contraria a qualsiasi tipo di educazione/addestramento (“lo picchieranno, poverinoooo”!) e convinta che l’atteggiamento aggressivo del suo tesoro peloso (parole sue) fosse dovuto al fatto che era “geloso di lei perché le voleva tanto bene”.
Ovviamente aggiunse la Frase Storica: “Sa, io lo tratto come un figlio!”
La realtà era un po’ diversa.
Un cane di quattro anni non equivale affatto a un bambino di pari età: se i processi mentali effettivamente possono somigliare a quelli di un bambino (ma “somigliare” non significa “essere identici”), il suo sviluppo psicofisico – e per “psico” qui si intendono sentimenti e sensazioni – equivale all’incirca a quello di un uomo di 35 anni.
Detto in modo un po’ brusco (con lei sono stata più politically correct, perché la realtà nuda e cruda a volte è un po’ scioccante): coccolandolo, viziandolo e ammettendolo nel suo letto la signora non lo stava trattando come un figlio, ma come un amante. E il cane, giustamente, la considerava la sua partner: per questo non accettava la “concorrenza” del legittimo consorte.
Perché un cane adulto è sessualmente maturo, a differenza di un bambino: ed è perfettamente conscio delle differenze tra i due sessi umani, tant’è che questo genere di cose non succede praticamente mai tra cane femmina e proprietaria femmina (se fosse solo una questione di affetto, dovrebbe succedere!), ma sempre tra cane maschio e proprietaria femmina, o (più raramente, perché gli uomini sono meno bambinizzatori) tra cane femmina e proprietario maschio.
Esempio numero due: un altro cane adulto è finito sotto una macchina (fortunatamente sopravvivendo) perché la sua proprietaria l’ha liberato in un prato ai margini di una strada trafficata. Dal prato è scattata via una minilepre e il cane è partito all’inseguimento, ignorando ogni richiamo e finendo in mezzo alle auto. “Ero così sicura che mi sarebbe stato vicino! – mi spiegò, in lacrime, la signora – Non si stacca mai da me, mi vuole tanto bene, sono la sua mammaaaa!”
Certo, non si stacca finché non c’è niente di abbastanza interessante: ma se arriva qualcosa capace di stimolare il suo impulso predatorio (normalissimo in un cane, a differenza che in un bambino) un cane adulto segue la sua natura… a meno che non sia educato e addestrato a dovere. Non era questo il caso, purtroppo, perché le “mamme” spesso considerano l’addestramento una brutta cosaccia cattiva: aiutate, purtroppo, in questo da certi servizi televisivi che mostrano sempre e solo il lato deteriore del lavoro con il cane.
Eh, sì: perché questo è un altro lato sgradevole dell’evoluzione (o involuzione) cinofila: i media se ne occupano sempre più spesso (e questo sarebbe un bene), ma se ne occupano basandosi sulla vecchia teoria giornalistica delle “tre S” (cosa fa vendere un giornale? Sangue, sesso e soldi).
I servizi televisivi si occupano principalmente di ciò che scandalizza, che fa inorridire o rabbrividire: canili lager, abbandoni, torture, uccisioni. Peccato che spesso tendano anche a far generalizzare: a far sì che lo spettatore faccia di tutta l’erba un fascio.
Recentemente abbiamo visto il servizio di Striscia la Notizia sull’allevatore criminale che uccideva i cani in esubero e li seppelliva in giardino: il messaggio che è passato è stato che “gli allevatori sono tutti criminali”. Quando gli stessi inviati di Striscia sono stati, tempo addietro, su alcuni campi di addestramento, sono andati a beccare i macellai che usavano il collare elettrico. Messaggio arrivato al pubblico? “Gli addestratori sono tutti macellai”.
Mai che qualcuno si sia sognato di far vedere anche l’altro lato della medaglia: allevatori che davvero tengono i propri cuccioli “come figli” (e qui ci sta, visto che sono appunto cuccioli!), addestratori che lavorano in armonia con il cane, divertendosi con lui e rispettandone le sue esigenze.
Non si è mai sentita neppure una semplice frase che dicesse “Guardate che questo è un caso anomalo, un singolo delinquente in mezzo a una massa di persone normali che con i loro cani hanno rapporti normali e bellissimi”.
La TV rema fortemente contro la cinofilia professionale, spinta in questo da un altro mondo variegato e pieno di contraddizioni che è quello dell’animalismo/protezionismo (che ha un forte peso politico, a differenza del mondo cinofilo).
Questa brutta immagine della cinofilia – diciamo così – “tecnica”, unita all’indubbio miglioramento dell’immagine del cane, ha dato purtroppo il via libera a tutta una serie di furbacchioni capaci di sfruttare la spinta emotiva umana per lanciare sul mercato una serie di proposte cinofile improponibili, che vanno dalla pura e semplice terminologia (non si parla più di “padrone”, termine che in effetti infastidisce parecchio anche me, ma di “care giver”, ovvero di qualcuno che “si prende cura”) alle metologie educative più allucinanti.
Si parte dal permissivismo globale (una sorta di manuale del dottor Spock in formato canino: peccato che il dottor Spock abbia poi confessato che il suo metodo eccessivamente permissivo aveva “creato una generazione di delinquenti”) e si arriva ai corsi – udite udite – di telepatia con il cane: anzi, con la foto del cane.
Per chi già si sente “mamma” del proprio cane, ovviamente, tutto questo rappresenta un richiamo irresistibile: cosa c’è di più attizzante del buonismo?
Il cane non deve venire da te perché l’hai chiamato (avresti dovuto addestrarlo, che parolaccia!), ma perché desidera stare con te. E se non lo desidera, anche solo per qualche minuto, e finisce sotto una macchina? Ops. Secondo alcuni cinofili new age, “poverino, è stato sfigato!” Ad altri non può succedere, ma solo perché i cani vivono perennemente al guinzaglio, almeno le rare volte che escono di casa: sempre che non vivano addirittura in borsetta, allucinante moda lanciata da Paris Hilton con i suoi chihuahua Paris+Hiltonle che a mio avviso potrebbe tranquillamente rientrare nel concetto di “maltrattamento” (non parlo, ovviamente, di un giretto di mezz’ora col cane in borsetta: parlo di cani che non hanno mai messo le zampe a terra in vita loro. Purtroppo ne ho conosciuto più di uno).
La cinofilia, dunque, è riuscita a subire contemporaneamente un’evoluzione e un’involuzione, entrambe epocali. Il cane ha raggiunto, nella maggior parte dei casi (purtroppo le eccezioni ci sono ancora e temo che ci saranno sempre) lo status che meritava, e cioè quello di membro della famiglia, ma troppo spesso si è dimenticato un concetto basilare, e cioè il fatto che si tratta di un membro non umano. Che non può essere trattato come un bambino e tantomeno come un bambino con deficit intellettivi, come purtroppo spesso accade.
Per bilanciare le cose servirebbe semplicemente una maggiore cultura cinofila: bisognerebbe che le persone conoscessero almeno l’ABC dell’etologia, che sapessero distinguere tra cane e uomo non soltanto per il fatto che il primo ha la coda e cammina a quattro zampe, che capissero quanto, a volte, si danneggia un cane nella convinzione assoluta di renderlo felice.
È un percorso impegnativo, ma andrebbe fatto da tutti, iniziando dalle scuole: i bambini di oggi potrebbero essere i cinofili di buon senso di domani.
Succederà? Forse sì: qualche segnale positivo già si vede (sempre per iniziativa privata, sia chiaro: mai che le istituzioni facciano qualche passo utile… salvo scapicollarsi poi a emanare ordinanze totalmente assurde quando un cane morde qualcuno), ma la strada è ancora molto lunga.
Nel frattempo l’unico invito che si può fare a chi ama i cani e/o possiede un cane è quello di non lasciarsi fuorviare dalle mode: di usare un minimo di senso critico, anzi di buon senso tout court. A volte basterebbe quello per trovare la giusta via di mezzo tra le brutture passate e le brutture attuali, anche quelle travestite da gentilismo e buonismo.

Fotografie: In copertina: il famoso scatto di Doisneau che immortala Jacques Prévert con il suo cane (Fonte web). Uomo con cane, Paris Hilton (Fonte web).

 

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