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Aiuto! Da chi vado? Di chi mi fido?

“Siamo Educatori (maiuscolo), NON addestratori! (minuscolo)” : lo troverete scritto e ribadito su molti siti di centri cinofili, quasi ad intendere (anzi, senza “quasi”): “gli addestratori sono i cattivoni che picchiano i cani, noi siamo quelli gentili che li amano e li rispettano”.
Difficile trovare l’altro lato della medaglia sui siti, ma facilissimo ascoltarla qualora un povero tapino si avvicini ad un centro di addestramento e chieda timidamente: “Ma voi siete educatori o addestratori?”Diogenes-statue-Sinop-enhanced
A quel punto il malcapitato si sentirà sicuramente rifilare un pippone galattico sul fatto che gli educatori (minuscoli) siano degli incapaci (o capaci solo di avere a che fare con cuccioli e minus habens – non è ben chiaro se canini o umani), mentre l’unica figura accettabile in campo cinofilo è quella dell’Addestratore (maiuscolo). Voi direte: ma come puoi capire che sono maiuscoli o minuscoli, se stanno parlando e non scrivendo?
Credetemi, si capisce. Si capisce benissimo dal tono di voce.
Ancora al di sopra di tutti si (auto) colloca l’ISTRUTTORE (questo si sente proprio tutto maiuscolo), che nessuno ha mai capito chi caspita istruisca a far cosa: i cani? Gli umani? Gli umani che educanaddestrano i cani? I cani che educaddestrano gli umani (questi molto più diffusi dei primi)?

Non è noto, se non forse agli istruttori stessi.
Ma intanto anche la figura dell’istruttore è stata minimizzata da quella del RIEDUCATORE (tutto maiuscolo e pure grassetto): colui che dall’alto della sua esperienza & sapienza ti rigira il cane come un calzino e da “belva feroce che se solo ti avvicinavi ti staccava le braccine” (o che “se solo si avvicinava un altro cane, volavano le orecchie”) te lo trasforma in un pacioso peluche amante del mondo intero.

Dovrebbe balzare agli occhi di chiunque (ma non balza) che queste definizioni sono state costruite ad hoc per rendere sempre più appetibili le diverse figure agli occhi dei clienti.
Per esempio, è chiaro che chiunque abbia un problemino con il suo cane (dal tirare al guinzaglio al saltare addosso ai visitatori) sarà tentato di rivolgersi al RIEDUCATORE: perché l’educatore normale non basta (d’altro canto, se fossero andati dall’educatore normale – o se fossero stati capaci loro di educarlo – probabilmente il cane non sarebbe mai diventato il tamarro che oggi si ritrovano per casa).
Purtroppo, a volte (molte volte, diciamolo) il sedicente rieducatore è davvero un normalissimo educatore, che magari ha pagato qualche migliaio di euro in più per seguire ulteriori corsi dopo quello “base”, ma che un cane davvero “da rieducare” non l’ha mai visto al mondo. E se gli arriva qualcosa di più tosto del cafoncello che tira al guinzaglio o che fa il furbo con gli altri cani, se la fa sotto e manda i proprietari dal RIABILITATORE (maiuscolo, grassetto e sottolineato), figura questa quasi leggendaria di cui si conoscono rarissimi esemplari, peraltro ormai quasi completamente scalzati dal VETERINARIO COMPORTAMENTALISTA (maiuscolo, grassetto, sottolineato e corsivo: e per fortuna sono finite le figure cinofile, perché altrimenti sarei rimasta sprovvista di elementi tipografici che potessero sottolinearne l’importanza). Molossus_bulldog

Ma in mezzo a tutto questo bailamme, cosa sanno effettivamente fare i vari personaggi?

Proviamo ad esaminare i loro percorsi di formazione, uno per uno (e scusate se li riduco tutti a dimensioni tipografiche normali: è solo per praticità):

1 – l’educatore è, quasi sempre, un giovane di belle speranze che ha deciso di fare un corso per iniziare a lavorare con i cani.
In cambio di somme che – a seconda delle sigle, dei docenti, dell’onestà o dell’avidità degli organizzatori – vanno dai mille ai 3-4000 euro ottiene una base teorica quasi sempre valida (sembrerebbe anche difficile darne una non valida, visto che si tratta per la maggior parte di una semplice raccolta di studi altrui che riguardano i cani: eppure qualcuno riesce a sparare supercazzole anche nella parte teorica) e – sempre a seconda del corso – un’infarinatura pratica che può andare da un buon ABC dell’educazione/addestramento al nulla assoluto (ci sono corsi nei quali i cani non appaiono MAI. Li vedono solo in fotografia).

Un tempo i giovani che uscivano dalla scuola col loro diplomino da “educatore” venivano caldamente consigliati di occuparsi solo di cuccioli o di cani adulti molto “facili”, senza particolari problemi.
Giustissimo: un educatore – specie se alle prime armi – non è assolutamente in grado di affrontare qualcosa di più complesso. Eppure, negli ultimi tempi, si vedono educatori alle prese con casi di aggressività, cani anarchici ed ingestibili, cani fobici e quant’altro di veramente “difficile” si possa immaginare. La sola idea di “perdere il cliente” per mandarlo da qualcuno più qualificato fa venire i vermi agli educatori, che di clienti (mediamente) non è che ne abbiano proprio un’overdose: ma per forza. Ogni mese si tengono, in tutta Italia, almeno una decina di corsi, con almeno 15-20 iscritti (e mi sto tenendo bassa): il che significa che il nostro Paese sforna 150-200 nuovi educatori al mese. Duemila e rotti all’anno.

E se è vero che in Italia ci sono circa sette milioni di cani, è anche vero che meno del due per cento dei proprietari si rivolge a una scuola cinofila. Fanno circa 140.000 cani, che sembrerebbero tanti… ma se li dividiamo per i 150.000 educatori sfornati negli ultimi dieci anni fanno 0,9 cani per ognuno di essi.
 È evidente che saremmo ormai tutti sotto i ponti, se non fosse per il fatto che moltissimi “diplomati educatori” non si sono mai sognati di aprire un campo (e in moltissimi casi hanno fatto una scelta intelligente): ma la concorrenza resta spietata, siamo ormai tutti lì col coltello fra i denti. Figuriamoci se, una volta accalappiato un cliente, ci sogniamo di dirgli “non me la sento di occuparmi di questo caso, vada da Tizio o da Caio”.
Si prova lo stesso. Si “fa esperienza” (cosa utilissima, anzi imprescindibile), però sulla pelle dei cani e a volte anche su quella dei proprietari.

2 – l’addestratore può appartenere a svariate categorie: c’è quello per millemila anni si è smazzato sul campo suo e magari anche sui campi di gara, che si è fatto (nel bene e nel male) le sue esperienze, che si è fatto (nel bene e nel male) gli affaracci suoi e che oggi resta decisamente spiazzato sentendosi insultare e accusare di essere – tout court – un “maltrattatore”, indipendentemente dal suo modus operandi ma solo per via della sua qualifica.
Alcuni di essi sono davvero dei maltrattatori. Altri sono gentilissimi e rispettosissimi dei cani.
Entrambi, però, sono sempre stati convinti che “addestratore” fosse sinonimo di “tizio che lavora con i cani”. Gli sfuggivano concetti come quello di “strumentalizzazione del cane”, “lucro sulla pelle dei cani” e quant’altro (che poi non si capisce come mai l’addestratore lucri e l’educatore no, visto che entrambi si fanno pagare).
Poi ci sono gli addestratori usciti dai corsi ENCI: perché l’ENCI, unico Ente cinofilo italiano incaricato dal Ministero dell’Agricoltura di occuparsi di cani, si è accorto con almeno dieci anni di ritardo che la formazione di nuove figure professionali poteva essere un business. Allora ci si è fiondato sopra, ma data la sua impostazione cinotecnica li ha chiamati “corsi per addestratori” anche se sono praticamente identici ai corsi per educatori che nel frattempo sono stati messi sul campo da una miriade di sigle, associazioni, gruppi, enti e chi più ne ha più ne metta. Insomma, da tutti quelli che il business della formazione – o presunta tale – l’hanno scoperto per primi.
Ora che sono passati altri dieci anni corre voce che l’ENCI intenda rimodellare il tutto e che chiamerà i suoi corsi “corsi per educatori”.
Siamo alle comiche… purtroppo non finali, temo. Comunque: l’addestratore uscito fresco fresco dal corso ENCI ne sa esattamente tanto come l’educatore. L’addestratore che fa questo lavoro da quarant’anni (una a caso: la sottoscritta), o quello che si è formato girando l’Italia e l’Europa e magari il mondo per acquisire vere competenze imparando da veri professionisti, ne sa immensamente di più ma non ha modo di dimostrarlo. L’unica cosa che può sbandierare sono i titoli acquisiti in gara, ammesso che ne abbia fatte: però non a tutti interessa l’agonismo, quindi ci sono addestratori bravissimi che non sono mai scesi su un campo di gara e ci sono incapaci totali che le gare le hanno pure vinte, perché hanno comprato cani “già fatti” da altri e si sono limitati a condurli.

3 – l’istruttore… io non lo so, chi sia e cosa faccia. Un tempo pensavo che fosse un tizio che insegnava ad altri tizi, insomma un formatore di educatori/addestratori… ma alcuni mi dicono che no, non è così: è uno che ne sa di più degli educatori e degli addestratori, ma che insegna ai cani e non agli umani.
Di fronte a questa figura – peraltro sempre e solo autoreferenziale – alzo bandiera bianca. Ripeto: non lo so definire, anche perché tra dieci persone che vantano la qualifica di “istruttore” non ce ne sono due che si qualifichino nello stesso modo.

4 – il rieducatore, l’ho già detto sopra, è un educatore che ha pagato altri mille o duemila o millemila euro per fare un corso “di livello superiore”. Ne ho sentiti alcuni lamentare l’assoluta carenza di informazioni realmente più approfondite di quelle che avevano ricevuto al primo corso, mentre altri ritengono di poter affrontare qualsiasi tipo di problema. Se chiedi loro con quanti cani abbiano lavorato fino ad oggi, spesso le risposte sono imbarazzanti (ammesso che una risposta arrivi).

5 – il riabilitatore dovrebbe essere colui che “recupera” i casi davvero gravi, insomma quelli sull’orlo dell’eutanasia o quasi. La sua formazione è solitamente ignota: è un riabilitatore “perché sì”. Magari perché davvero ha sbattuto il muso per anni contro cani difficili, ottenendo molti successi: magari perché qualche sigla cinofila gli ha dato il patentino di turno dopo avergli fatto l’ennesimo corso.
Come si fa a distinguere? Bella domanda.

6 – il veterinario comportamentalista è un veterinario, cosa che gli dà una marcia in più rispetto a tutte le figure precedenti: lui, almeno, ha una laurea! Peccato che la laurea ce l’abbia in medicina generale e non in psicologia, etologia, psichiatria e quant’altro servirebbe per occuparsi di problemi comportamentali.
Per potersi occupare di problemi comportamentali, però, ha fatto un master: non male, se non fosse per il fatto che si parla sempre e solo di studi teorici, per di più fortemente orientati verso l’approccio farmacologico.
Al di là della terapia farmacologica, la stragrande maggioranza dei comportamentalisti vi darà gli stessi suggerimenti del semplice educatore.
Anche perché l’approccio teorico quello è… e non è colpa di nessuno se di effettivi studi sulla psicologia del cane in pratica non ce ne sono, se le metodiche che si studiano sono prese pari pari da studi che riguardano la psicologia umana e se tutto ciò che si può proporre è la vecchia minestra fatta di condizionamento classico, condizionamento operante e quelle tre o quattro tecniche di recupero (abituazione, controcondizionamento, desensibilizzazione eccetera) che sulla carta risolvono il cento per cento dei casi, ma nella pratica… non si sa. E’ proprio per la povertà oggettiva di metodiche studiate sul cane e per il cane, oltre che per il fatto che il veterinario non vede cani “sul campo” ma solo cani sui libri, che tanto spesso lui si lancia a testa bassa sul farmaco: solo che anche i farmaci psicotropi sono tutti per uso umano, solo che non ci sono indicazioni reali sugli effetti a lungo termine, solo che utilizzarli “è una sconfitta” per le ragioni che ha già spiegato il dottor Satanassi in questo articolo proprio qui su Ent, ragion per cui ad esso vi rimando senza disquisire oltre su questo tema.

Come si può vedere, il panorama è piuttosto deprimente e fra tutte queste figure (tutte profondamente convinte di avere un perfetto controllo della situazione) c’è il serio rischio di incappare in totali o parziali incompetenti.
Grazie al cielo c’è anche la possibilità di incappare in bravi (davvero bravi) educatori, addestratori, rieducatori, veterinari e così via: che sono quasi sempre quelli che oltre agli studi teorici possono vantare una lunga esperienza pratica, unita però ad un profondo rispetto per il cane, alla capacità di mettersi e rimettersi in gioco, di aggiornarsi, di provare tecniche diverse e, in moltissimi casi, anche di inventare e sperimentare nuove soluzioni magari del tutto fuori dagli schemi classici… perché il cane e la sua mente sono ancora “oggetti misteriosi” di cui sappiamo molto, ma molto poco. E perché “il cane” generico è un po’ come “l’uomo” o “il bambino” generici: esistono sulla carta, ma nella realtà ci sono soltanto individui tutti diversi tra loro, che ci si deve sforzare di capire individualmente prima di cominciare a lavorare con loro.
Nel cane ci sono le razze: ovvero, c’è una lunga selezione genetica (operata proprio dall’uomo) che ha differenziato moltissimo le caratteristiche psichiche, e non solo quelle fisiche. Un alano è diverso da un chihuahua non solo perché è dieci volte più grosso di lui, ma anche perché ha una mente diversa, una diversa sensibilità, un modo diverso di rispondere agli stimoli.
Non rendersi conto di questo è già un bel passo verso il fallimento, che si tratti di semplice educazione o di problemi comportamentali gravi: in più c’è, appunto, l’individualità che distingue, a volte in modo anche clamoroso, un alano da un altro alano, un chihuahua da un altro chihuahua.
Aggiungete al tutto il fatto che nessun cane vi racconterà mai i suoi sogni, né potrà mai confessarvi che ha le crisi di panico, e il quadro è completo.
Approcciare la psiche canina è difficile, difficilissimo. È anche terribilmente affascinante, ma è difficile e non è alla portata di tutti. Sicuramente non basta un corso per metterci in grado di farlo efficacemente; ma non bastano neppure lauree e master. La cosa più utile (non totalmente risolutiva, neppure questa: ma utile sì) è proprio l’esperienza. È prendere al guinzaglio, trattare, “discutere” con dieci, cento, mille cani diversi: ma anche quando si hanno quarant’anni di esperienza, come la sottoscritta, si sbaglia. Forse un pochino meno dell’ultimo arrivato, ma si sbaglia eccome.

A chi rivolgersi, dunque? A chi dare fiducia?

Una risposta davvero concreta è impossibile darla, perché – come dicevo sopra – si può incappare nell’espertone pratico che però è rimasto ancorato a metodi di cent’anni fa, o che magari ritiene ancora che i cani si educhino a calci nel culo, così come si può incappare nel neo-diplomato che però ha una sensibilità tutta speciale, un’”animalità” intrinseca che gli permette di leggere negli occhi di un cane e di capire quello che sente.
Lavorare con gli animali non è e non sarà mai una scienza esatta. Ogni nuovo approccio con un nuovo cane sarà sempre un po’ una roulette (non russa, almeno si spera). Puoi puntare e vincere o puoi salutare i tuoi soldi per sempre.  
Però vincere alla roulette è pura fortuna, mentre per vincere in cinofilia aiuta molto studiare, aggiornarsi informarsi. Ma soprattutto aiuta tenere la mente aperta, non fossilizzandosi sul “si deve fare così e basta” che purtroppo è un classico delle scuole più “settarie” e che a mio avviso è la vera rovina della cinofilia moderna.
Visto che non c’è “un cane” e basta, non ci può essere neppure “un metodo e basta”: è lapalissiano. Quindi potremmo dire che il primissimo requisito di qualsiasi figura professionale che si occupi di cinofilia dev’essere l’apertura mentale.
L’esperienza è un valore aggiunto, qualsiasi tipo di studio effettuato è un valore aggiunto… ma se non c’è quella, non ci può proprio essere cinofilia.

 

 Immagini: in copertina A dog’s life, Charlie Chapline (1918) – Diogene  di Sinope – Bassorilievo, Pompei

 

5 COMMENTS

  1. E’ vero che si assiste attualmente ad una certa confusione tra le varie figure del mondo cinofilo, cercare di fare un po’ di chiarezza è un ottimo intento. Mi dispiace però che le varie figure professionali non siano state descritte nel modo corretto. Esistono educatori molto esperti a fianco di una marea di ragazzi alle prime armi; giustamente l’utente finale fatica a districarsi, ma come sempre il buon senso dovrebbe venirci in aiuto per discriminare e capire chi ho di fronte da come si approccia al mio cane. Non capisco però perchè si pensi che cultura teorica (laurea e master) non possano coesistere con una salda esperienza sul campo. Un veterinario comportamentalista è prima di tutto un medico veterinario, unica figura che può differenziare un problema organico, che causi alterazioni comportamentali, da un vero problema comportamentale; su questa base ha costruito una cultura specifica riguardante la materia, che NON può prescindere da una esperienza pratica. Personalmente ho sempre detto che ho imparato molto di più dai cani sul campo, che non sui libri, come me tanti altri colleghi. Le due conoscenze DEVONO andare di par passo, pena la mancanza di risultati. Collaboro con molti educatori (termine che preferisco ad addestratori, per veterata memoria, ma collaboro anche con professionisti che preferiscono utilizzare questo sostantivo), riferiscono a me casi che richiedono il mio intervento e io mando a loro i casi per proseguire il lavoro. COLLABORAZIONE è un bellissimo termine, continuiamo a lavorare perchè si concretizzi anche nella realtà, nell’assoluto rispetto di tutte le figure professionali, che operano in modo corretto, per il bene dei nostri animali.

  2. Casualmente, avevo capito che l’autore dell’articolo è un addestratore ancora prima di arrivare al punto in cui si palesa come addestratore.

    Perchè?

    Perchè l’unica definizione completa, corretta e bilanciata per pregi e difetti è, guardacaso, quella dell’addestratore, mentre tutte le alte figure sono una fosca descrizione in cui, stranamente, a prevalere sono i difetti o le supposizioni lanciate con malecelata tranquillità, ma che possono scatenare in un lettore qualunque pesanti e pregiudichevoli deduzioni.

    Concordo sul fatto che la situazione non sia affatto chiara e legislativamente normata e che troppo spesso ci si abbandoni a sterili dibattiti e guerre di insulti e gara a sotterrare i piedi dell’avversario per sembrare più alti.
    Purtroppo tutto il resto risente delle contaminazioni culturali di un addestratrice evidentemente amareggiata dall’aspro dibattito, esattamente come ho letto articoli che risentivano di contaminazioni culturali di educatori, istruttori e comportamentalisti amareggiati dall’aspro dibattito.

    Mi spiace, ma secondo me il punto di partenza è abbassare le armi e comprendere davvero che sono tutte figure complementari, e cercare di conoscerle davvero.

    Dott. Paolo Margaira
    Veterinario Comportamentalista (non tutto maiuscolo, non sottolineato, non neo-laureato che ha visto i cani solo sui libri, non somministratore sistematico di psicofarmaci ed ogni animale che vado a visitare a domicilio, omeopata, omotossicologo e floriterapista in formazione, nonchè abituale collaboratore di educatori, istruttori ed addestratori, figure fondamentali per la riuscita delle mie riabilitazioni)

    Dubium sapientiae initium

    • Gentile dottore, se “concorda sul fatto che la situazione non sia affatto chiara e legislativamente normata e che troppo spesso ci si abbandoni a sterili dibattiti e guerre di insulti e gara a sotterrare i piedi dell’avversario per sembrare più alti”… allora concorda con il senso del mio articolo e non trovo più una motivazione valida per criticarlo.
      In realtà sì, ha ragione, sono amareggiata dai continui “scanni”: come tutti, credo. Ma sono ancor più amareggiata dall’arroganza e dalla presunzione di persone che, dopo aver fatto il corso o il master di turno, salgono in cattedra e cominciano a pontificare su qualcosa che, in realtà, non conoscono, confondendo tragicamente le idee delle persone – diciamo – “normali” che si avvicinano per la prima volta al mondo cinofilo.
      Nessuno di noi fa una bella figura, in tutto questo: ma prima che la Sciuramaria di turno riesca a beccare (spesso per pura fortuna) l’educatore o l’addestratore o il veterinario davvero competente, una MAREA di cani finisce male. Cani soppressi, cani che subiscono veri e propri abusi di psicofarmaci, cani ridotti a zombie comodissimi da gestire, ma che hanno perso tutta la loro dignità e la loro “caninità”.
      Ecco, tutto questo credo che si debba sapere: credo che la gente debba cominciare a cercare la professionalità reale, che deve per forza unire le conoscenze teoriche all’esperienza pratica, anziché il Guru di turno o, peggio ancora, l’adepto del Guru di turno, che magari ha visto due cani in vita sua e si sente un padreterno.
      Insomma: né un corso, né un master (nel caso della sua professione) fanno un vero esperto. Forse spiegarlo al pubblico può suggerire di tenere gli occhi (e la mente) un pochino più aperti.

      • Sacrosante parole, ma le cose cambieranno quando si deporranno le armi e si smetterà di sbattere i piedi per terra urlando “io sono meglio perchè lui è peggio”.
        L’avanzo culturale si avrà quando comprenderemo che siamo fattori complementari di un’epocale ridefinizione culturale dell’etologia e del rapporto uomo-cane, ma se questo passo non lo fate prima voi “Big” della cinofilia (addestratori, educatori, comportamentalisti), tutto intorno rimarrà un confuso brusìo di fazioni opposte e distruttivamente avverse, nient’altro.

        No, mi dispiace, questo non è un articolo della Valeria Rossi che ho sempre letto ed apprezzato, e la cosa mi spiace alquanto.

        • Di fronte ai confusi brusii ci sono soltanto due strade: ignorarli (però quelli continuano…) oppure cercare di fare un po’ di chiarezza. Io ho scelto la seconda strada, cosa che ovviamente può dare fastidio a qualcuno: ma la mia coscienza mi suggerisce di cercare di far capire alle persone che quella che “dovrebbe” essere, effettivamente, “un epocale ridefinizione del rapporto uomo-cane” si è ridotta, purtroppo, ad un epocale sfruttamento dell’ingenuità umana a puro scopo di business. Lo so che succede in ogni campo: sono i limiti dell’umanità. Ma a non saperle, certe cose, si rischia di finire preda dei molti, troppi avvoltoi che ormai svolazzano in tondo sulla cinofilia. E sinceramente preferisco aprire gli occhi a qualche ingenuo, piuttosto che avere l’incondizionata approvazione che normalmente ottengono solo quelli che danno ragione a tutti.

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