LA FINE DEL DARWINISMO SOCIALE

L’antropologia è la scienza che studia l’uomo, se non vi fosse la presunzione che l’uomo fosse razza a sé si potrebbe includerla nella zoologia, e per questo uno zoologo potrebbe discutere sulle ragioni e le qualità umane al pari di un etologo che osservi e commenti un gorilla di montagna; dove sta la differenza. Quando infatti alla specie Homo si è applicata per un eccesso di conferme anche il darwinismo, si sono verificate una serie di variabili tali da invalidare lo stesso darwinismo fino che al contrario, la loro applicazione ne ha determinato gravi fenomeni di massa e i tentativi di una omologazione deleteria per lo sviluppo della biodiversità, che nell’uomo diventano le sottoculture, tanto da renderle inapplicabili per una serie di estraneità ai moduli selettivi naturali che nella specie umana sembrano invalidabili. Dalla applicazione del darwinismo alla specie umana è nato per questo il cosiddetto “darwinismo sociale”, contrastato sul piano filosofico, sociale e politico dal Marxismo e dal Cristianesimo in antecedenza. La matematica applicata all’economia ha permesso di valutare il tempo come un valore di utilizzo del capitale stesso, rendendolo un bene economico. Da questa base di profitto ponderabile sul prezzo d’uso e sul beneficio utilitaristico che distingueva chi meglio lo utilizzasse è nata la moderna economia, che sanciva l’unione tra il darwinismo ovvero la competizione selettiva tra chi aveva le possibilità di vincere nell’ aumentare i propri utili sottraendoli dalla fruibilità di tutti. Sul piano razziale inoltre il darwinismo sociale ha fatto i peggiori danni riponendo nelle ideologie, il frutto di una distinzione selettiva tra gli accoliti e i respinti: le leggi razziali e le lotte razziali ne sono un esempio classico tanto che Bruneteau definisce la lotta per le ideologie la più grave fonte di genocidi nel XX secolo. Bene, la fine del darwinismo sociale alla specie uomo , significa che la competitività intraspecifica dopo aver demolito il darwinismo stesso, abbia sancito una nuova era, quella del collaborazionismo, ove l’unicità del singolo come carattere olistico, si contrapponga alla dispendiosa lotta per la sopravvivenza o competizione darwiniana che diviene sociale nelle specie cosidette. Da queste elezioni, con una lettura inedita di un fenomeno sociale è possibile estrarre questo tipo di indicazione, la volontà di rimuovere i troppo dispendiosi tratti darwiniani di una competizione che non permette all’uomo, attraverso i suoi canali comunicativi, di estrinsecare la caratteristica che più gli permette di essere competitivo con altre specie e cioè attraverso il logo, lo scambio di informazioni così importante per la sua sopravvivenza e, dall’altro, che la collaborazione e la stessa condivisione comporti che un pilastro dell’economia reale sia lo scambio e la circolarità della moneta come mezzo di condivisione di una ricchezza maggiore per tutti a patto che possa da ciascuno essere elaborata nello scambio. L’altro lato della fine del darwinismo sociale è rappresentato dal trend, ovvero delle scelte che rispecchino non un modulo selettivo darwiniano , con una finalità chiara espressa sia nella maggior sopravvivenza che nel scegliere un processo che abbia una validità legata alla minor spesa energetica. Eppure fenomeni di massa come la scelta di un leader, che non rappresenti nessun dei valori espressi dall’etica finalistica di una specie, in questo caso l’uomo, determini egualmente la scelta elettiva di un leader in questo caso “personaggio”, la cui discussa disciplina e dottrina esuli da ogni riferimento ma che la popolarità , e cioè un mezzo di conoscenza di massa, lo possa ugualmente identificare come eleggibile. In quel caso non vi è più una lotta alla sopravvivenza ma caratteristiche culturali fanno emergere dubbiose caratteristiche legate ad un trend non più darwiniano ma mondano: sì, legate al mondo dell’uomo, razza a sé, che vota l’insanabile perché il solo conoscere il nemico è come farselo amico , direbbe la fiaba, ma Freud , ci rammenta con frasi apodittiche che per la propria certezza abbia esso rinunciato alla felicità: ecco, ora forse siano più comprensibili come certe scelte siano lontane da Darwin e più prossime a paure sconsiderate dell’uomo e che la loro amplificazione crei dei processi antidarwiniani, e se non si tratti di selezione si possa parlare di regressione. Pubblicato ne “Il Resto del Carlino”, febbraio 2013

Famiglie allargate (al cane)

Ormai il 42% degli italiani ne ha uno in casa. E la crisi ha funzionato addirittura da incentivo. Un’allevatrice spiega il perché. E come imparare a gestirli

IL CANE È ORMAI UN MEMBRO DI FAMIGLIA PER IL 42% DEGLI ITALIANI.

E non c’è crisi che lo allontani. Anzi, i 50 euro al mese che più o meno costa la sua gestione, sono una delle poche spese che non vengono tagliate. Addirittura c’è chi le aumenta, visto che come ha documentato la ricerca Eurispes 2013, non solo cresce il numero dei possessori di cani, ma crescono anche le famiglie che raddoppiano e passano, per così dire a otto zampe (più 10%). Le spese per il menu per cane e gatto (cibi biologici, con gusti sofisticati e specialità per chi soffre di allergie) sono a più 2,1% sul 2012, sopra la media europea, ferma all’1,6%. Sono piccole cifre, che sommate arrivano però a oltre 1600 milioni di euro per 536mila tonnellate di cibo. Ci sono poi da aggiungere le spese per le cure veteri- narie, che si aggirano su una media di 150 euro l’anno. Sempre per stare ai numeri all’anagrafe canina sono iscritti oltre 5.6 milioni animali, da cui sono ovviamente esclusi gli almeno 700mila randagi. Per altro l’anagrafe funziona a macchia di leopardo, se pensiamo che in Friuli Venezia Giulia sono registrati 195 cani ogni mille abitanti, mentre in Calabria siamo fermi a 12. Il cane è un animale ormai antropocentrico e nella sua generosità svolge compiti importanti: conduce il non vedente, salva ritrovando o scavando, conforta gli anziani e i malati, sviluppa nuove capacità di interazione nei bambini con difficoltà. E per tutti è un polo affettivo insosituibile. Con lui si cambia stile di vita recuperando spazi e tempi che prima parevano impossibili: una lunga passeggiata, aria aperta, relazioni con persone prima sconosciute, un diverso e più salutare uso del tempo libero. Il bisogno di avere un animale risponde al bisogno di una compagnia fedele che il cane restituisce. Al fondo c’è un sano desiderio di relazione. Purtroppo c’è anche da notare che il crescere di questo fenomeno non è accompagnato da una cultura cinofila adeguata ma dipende in modo proporzionale da un certo malessere che si vive nelle relazioni fondamentali, la solitudine in primis. E allora come scegliere il nostro cane? E come regolare il nostro rapporto con lui? Ci sono alcune regole che possono essere d’aiuto. Prima regola. Scegliete una razza non per- ché va di moda o “mi piace tanto” ma in base al proprio stile di vita e attitudini: se non sei uno sportivo non sceglierai un Border Collie; se sei uno che non ama l’ac- qua lascia perdere le razze da riporto. Certi cani stanno bene in appartamento (non togliete il divano a un Alano) altri hanno bisogno di annusare tracce tutto il giorno. Occorre studiare le razze per morfologia e compiti, per attitudini e temperamento. Seconda regola. Canile o allevamento che sia, entrambi devono essere seri, qualificati, riconosciuti, visibili, trasparenti e onesti. Quindi discernimento innanzitutto. In canile andateci con chi conosce bene il comportamento di un cane e in allevamento con domande su pedigree, malattie genetiche, genitori del cucciolo, contratto da visionare, garanzie e obblighi chiari. Attenti a chi i cani li sfrutta, mercificandoli. Con conseguenze a macchia d’olio: razze tra- mandate da secoli che si deformano o sono portatrici di malattie, fattrici sfruttate, cani sottratti troppo presto alle cure ma- terne che presentano patologie o forme di asocialità e difficoltà psicologiche… Terza regola. Se il cane potesse scriverci un post ci direbbe: lasciatemi essere quello che sono! Il cane non manda a quel paese e non giudica ma si comporterà di conseguenza. Se non lo guidi prenderà il sopravvento, se lo ammazzi di affetto penserà che tu dipendi da lui e andrà in ansia, se sarà lo sfogo della giornata pesante o l’oggetto da mettere in mostra come un vostro merito c’è il rischio che venga su poco autonomo e dipenderà dai vostri stati d’animo. Non fate del vostro tempo un esercizio da circo equestre ma insegnategli ciò che più lui ama fare, ciò per cui è fatto, insomma conoscetelo e sarà felice, quindi docile, quindi gestibile, quindi mansueto. Quarta regola. Ogni cane è storia a sé; il commerciante sorridente del Pet shop ti convincerà che ha bisogno di mille prodotti. Prendete tempo. L’esperienza è l’unica arma che ti difenderà dal marketing. Quinta regola. Non è vero che il cane ti capisce in tutto o gli manca la parola: il cane ha una sua intelligenza e un suo linguaggio tanto che gesti per noi chiarissimi, in loro generano confusione e frustrazione. Conosci i periodi e le modalità di socializza- zione e insegnagli a stare al suo posto: provate a dare a un cucciolo che vi fa gli occhioni dolci del cibo mentre mangiate a tavola, ne sarete lieti quando poi, i suoi 40 chili si lanceranno sulla tovaglia.  

Cani per non vedenti

TRA LE SUE FUNZIONI SOCIALI PIÙ ANTICHE IN ITALIA LE SCUOLE SONO MOLTO DIFFUSE NELSON COON, NELLA SUA “BREVE STORIA DEL CANE GUIDA PER CIECHI” offre un’impressionante rassegna della presenza dei cani guida nella storia: racconta di un’immagine scoperta sulle pareti di una grotta risalente all’era paleolitica, raffigurante un cieco con il suo cane; di un affresco proveniente da una villa romana di Pompei, custodito nel Museo Nazionale di Napoli con lo stesso soggetto. Se tutti conoscono il debito che la pastorizia ha nei confronti dei cani meno ci si immagina quanto sia antico il sostegno morale e l’ausilio alla mobilità di cui il non vedente ha usufruito se accompagnato da un cane guida. Oggi le scuole per cani guida sono diffuse in Italia e godono di un’importante tradizione. È indubbio che la presenza del cane è sempre descritta nella sfera dei diritti inalienabili della persona: i diritti di autonomia e di mobilità. Il cane guida per un non vedente non solo è un compagno indispensabile per il proprio esserci nel mondo e quindi per l’inclusione sociale, ma un vero conforto, un amico sicuro. La prossima volta che incontrate questa strana coppia, fermatevi chiudete gli occhi, ascoltate i rumori della città e, senza toccare il cane e distrarlo dal suo compito, provate a domandare alla persona non vedente come cambia la vita con quattro zampe accanto.

Cani da ritrovamento

È UNA FUNZIONE SOCIALE MODERNA A SERVIZIO DELLA PROTEZIONE CIVILE. OSSOBUCO DEL CAMPO DELL’ORO, PER GLI AMICI OSSO, È UN MAGNIFICO ESEMPLARE BLOODHOUND che nei passati anni è stato la mascotte del programma “Quarto Grado” in merito al tema della ricerca di persone. Viene dall’allevamento di Laura Benedetti che con l’affisso “Vascia”, dedica la sua vita a questa razza (che si riconosce per le labbra lunghe e larghe, molto pendenti, ed orecchie pendenti fino a coprire la mascella), specializzata nel maintrailing. In Italia questa attività è seguita da Roberta Bottaro: semplificando è l’atto che compie un cane seguendo l’odore di un umano. A differenziare un cane specializzato in mantrailing da un cane da pista è che il primo segue l’odore in maniera naturale piuttosto che appresa come nel caso del cane da pista. A differenza del cane da superficie, il mantrailer segue la traccia creata dal decadimento cellulare, ossia dalle cellule morte che ogni minuto della nostra vita perdiamo sul terreno e che ci rendono unici come un’impronta digitale: caratteristiche che lo rendono prezioso supporto alla Protezione civile. Bloodhound resta comunque il cane da mantrailing per eccellenza per il suo olfatto sopraffino e per le sue caratteristiche comportamentali che lo rendono particolarmente addestrabile per la disciplina del trailing. Pubblicato in “VITA” dicembre 2013 www